Storico crollo del petrolio. Prezzo in zona negativa Storico crollo del petrolio. Prezzo in zona negativa
Ieri il petrolio ha raggiunto, per la prima volta nella storia, la zona di prezzo negativa. Vi aspettate un grosso ribasso del prezzo alla pompa? Sorpresa! Non sarà così.
Cerchiamo di capire cos’è successo e di dare una spiegazione logica sul presente e sullo scenario futuro.
Quello che è avvenuto, riguarda totalmente il future di maggio del Crude Oil, la cui quotazione, ieri 20 aprile 2020, ha raggiunto il record di -40.46 dollari al barile. Una quotazione storica.
Oggi, martedì 21 aprile 2020, scade il contratto future CL May 20 e siamo già passati al contratto successivo di giugno. Cosa hanno rischiato i detentori dei futures? La consegna fisica del sottostante (1000 barili di petrolio) presso il centro di stoccaggio di Cushing, in Oklahoma (USA), dove le scorte di petrolio sono salite del 48%, quasi a 55 milioni di barili da fine febbraio.
Ovviamente gli operatori finanziari non volevano subire il ritiro e, quindi, hanno pensato bene di vendere. Ma se nessuno compra, a chi si vende? Il prezzo crolla, legge della domanda e dell’offerta. Il prezzo di un future a scadenza, normalmente, tende sempre ad avvicinarsi sempre verso il prezzo spot, quello reale.
Quindi, gli operatori cosa pensano? Pur di non dover immagazzinare il petrolio, cercano di vendere anche a costo di pagare per girarlo a qualcun altro. C’è un altro elemento pesante: non c’è più un posto, dove metterlo, visto che le scorte incrementano di giorno in giorno.
È una questione di logica: se la domanda standard su base globale, quando non c’era il corona, era di 100 milioni di barili al giorno, dove lo metti se non abbassi la produzione? Una produzione diminuita del 5-10% con un’offerta altissima, può produrre aumenti prezzo? È logico dire di no.
I tagli stabiliti con l’accordo del 12 aprile avranno seguito dal primo maggio, se non s’interviene oggi e subito, non ci sarà altra scelta che il finimondo sui prezzi. Ma chi sono i paesi che dovrebbero tagliare e chi stabilisce questo?
L’Opec è l’organo supremo, ma non ha tagliato la produzione. Arabia Saudita e Russia hanno iniziato, pur con qualche giochetto ma l’hanno fatto nella misura stabilita standard. Gli Stati Uniti, primo produttore, lo sappiamo, non cedono mai nulla, non mollano mai di un passo: NON eseguiranno tagli oltre a quelli stabiliti, parole di Trump. Canada, quarto produttore, e Brasile, ottavo produttore al mondo, si allineano alle parole di Trump.
Cerchiamo di capire i tagli del primo maggio, quali sono? 10 milioni di barili al giorno, una cifra assolutamente ridicola e insufficiente per compensare il crollo della domanda. Il disavanzo è di circa 20 milioni di barili al giorno.
Nessuno consuma ma tutti producono, e i depositi si riempiono. Il futuro sarà un bagno di sangue se i paesi produttori non si metteranno d’accordo in un bagno di umiltà generale, altrimenti sarà troppo tardi. Per loro. Alla legge della domanda e dell’offerta non si sfugge.
Ci rendiamo conto che non è assolutamente semplice, un intero settore, cruciale per il mondo, è a rischio fallimento.
L’Arabia Saudita deve mantenere un intero apparato petrolifero statale e consiglia, fin da subito di non aspettare fino all’inizio di maggio per iniziare ad attuare i tagli di produzione concordati.
L’economia della Russia è parastatale, ancora oggi dipende fortemente dal petrolio e sarebbe devastante.
Gli Stati Uniti si sono cullati molto su questo settore, puntando molte risorse e diventando i primi produttori al mondo. Trump ha parlato ieri dell’acquisto di 75 milioni di barili di petrolio per la Strategic Petroleum Reserve del Paese, oltre alla possibilità di poter bloccare le importazioni di petrolio saudita.
Il Canada dipende totalmente dal petrolio così come la sua valuta, e non parliamo del Brasile, Nigeria o Iraq.
In questa situazione devono convergere tutti attorno a un tavolo e stabilire dei tagli proporzionati alle proprie capacità. La domanda è: chi sarà disposto a rinunciare? In una condizione simile dovrebbe vigere il buon senso, elemento che molto spesso la politica non ha.
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