La volatilità dei mercati finanziari
La volatilità sui mercati finanziari, in senso pratico, si riferisce a un periodo di turbolenza dei prezzi, più specificamente a grandi variazioni in tempi ridotti, caratterizzati da una grande e vistosa oscillazione. La volatilità è parte integrante di ogni investimento, occorre essere preparati ad affrontarla quando questa si dovesse manifestare.
I periodi di volatilità dei mercati sono motivo di forte preoccupazione per la maggioranza degli investitori, perché c’è il rischio di perdere quello che si è costruito, se non addirittura intaccare il proprio capitale.
Naturalmente è un discorso molto generico per chi non conosce l’operatività sui mercati, per capirlo meglio dovremmo addentrarci nelle diverse tipologie di operativà, ma non è questa la sede.
In generale, la volatilità è un indicatore che misura l’incertezza dei rendimenti di un investimento in un particolare periodo: più la volatilità è alta, più è facile che i rendimenti dell’investimento presentino valori molto lontani dal valore medio; al contrario, quando la volatilità è bassa, i rendimenti registrati dall’investimento sono concentrati intorno al valore medio con oscillazioni più piccole.
È normale vedere più di una correzione, anche nel corso di un mercato rialzista. I mercati non salgono o scendono in modo lineare. Alcune delle più significative discese del mercato azionario sono state seguite da rimbalzi e poi da nuovi massimi.
Anche l’operazione e il disastro che generò la Banca Centrale Svizzera è stata una grande occasione di acquisto. Spesso le correzioni possono costituire un ottimo momento per investire in azioni grazie a una posizione di prezzo più attraente.
Generalmente è espressa su base annua e rappresenta, in parole semplici, il potenziale di oscillazione di un investimento. Se ci riferiamo all’operatività di un daytrader , che lavora su brevi periodi, la volatilità può riferirsi a un’ora, un giorno o anche quindici minuti.
Il capitale investito può essere polverizzato in pochi giorni, se non peggio in poche ore, a secondo della leva utilizzata e il margine che abbiamo a disposizione.
Naturalmente anche in questo va fatta una distinzione: trader alle prime armi e trader esperti. I primi sono infatti spaventati dall’eventualità di una repentina oscillazione al ribasso o al rialzo e sono tentati di uscire dal mercato e di rimanere fuori dai giochi aspettando che lo scenario si assesti.
Capita spesso che in queste situazioni potrebbero abbandonare le loro posizioni quando i loro titoli hanno perso valore e annullare i profitti ottenuti fino a quel momento. Da qui nasce l’esigenza di una buona analisi, un buon metodo di operatività, insomma una strategia d’investimento ben pianificata che non mette in discussione quello che si sta facendo e il risultato di lungo termine.
Nel fare un buona analisi bisogna sempre guardare con cautela i valori di volatilità delle singole azioni, se parliamo di questi strumenti. Bisogna conoscere gli elementi che generano volatilità e nel caso delle azioni molto dipende dalla liquidità del titolo e dal settore.
Infatti, vi sono settori storicamente più volatili di altri (come quello farmaceutico o quello energetico) che possono avere titoli con una volatilità media anche del 35% (con picchi del 500%).
Un indice azionario ha volatilità media (12%) inferiore rispetto ad un singolo titolo, questo grazie al beneficio della diversificazione che è già insito all’indice stesso. Ma dobbiamo dire che la volatilità non è uniforme nemmeno tra i diversi indici azionari: l’S&P500 ha una volatilità storica che in tempi recenti si è assestata sul 7%. Il nostro FTSEMIB sale al 15%.
Molte teorie affollano l’arena della discussione sulla volatilità e soprattutto su quello che la genera. Alcuni analisti sostengono che sia il risultato (o il sintomo) di uno squilibrio di ordini commerciali aperti in una sola direzione (tutti acquistano e nessuno vende).
Altri ritengono che la volatilità dei mercati sia causata solo da eventi economici (possiamo dire per certo che questo è vero, a seconda dell’importanza dell’evento).
Altri ancora che sia alimentata degli investitori istituzionali in certe occasioni, dalle operazioni veloci dei daytraders o dai venditori allo scoperto.
In ogni caso, un dato risulta certo: sono proprio gli investitori con le loro azioni e reazioni che determinano la volatilità di un titolo o di un mercato. I comportamenti degli investitori sono influenzati da forze di natura emotiva e psicologica.
A questo punto possiamo dedurre che viene fuori l’importanza fondamentale del proprio autocontrollo e dello studio dei comportamenti sugli eventi se si vuole avere un trading profittevole.
Un qualsiasi evento, di carattere economico, politico o sociale, può influenzare il mercato e stravolgere quanto si era preventivato fino a quel momento.
Esistono diversi indicatori per misurare il grado di rischio di un investimento, la volatilità è solamente uno di questi ma è quello più conosciuto. Ovviamente non è sufficiente da sola per dare tutte le informazioni necessarie, ma è un valido punto di partenza.
La volatilità del mercato è inevitabile, farsi prendere dal panico non è molto funzionale. Poi, certo, bisogna guardare l’operatività di quel momento: se si è a bassa leva e con una strategia a lungo termine, non c’è da preoccuparsi. Ma se siano con leva alta per un’operazione fast, allora sì che c’è da preoccuparsi. Non era previsto.
In molti casi infatti, dopo un periodo fortemente volatile il mercato si assesta e i titoli posso riallinearsi ai loro trend storici, il famoso teorema del prezzo di equilibrio. Chi si spaventa vende, soprattutto se ha margini di guadagno che glielo raccomandano. Sono le cosiddette e famose prese di beneficio, che fanno soprattutto i retail.
Il professionista invece, a secondo dei parametri che deve rispettare, nel caso lavori per un grande gruppo d’investimento, deve rimodulare il proprio portafogli e lavorare su una linea di de-risking. Magari deve seguire dei parametri di volatilità che non si possono superare. Se si va oltre i limiti consentiti si tratta di riportare la volatilità entro livelli accettabili, attutendo così i rischi.
Rimanere dentro il mercato consente di beneficiare della tendenza a lungo termine a rialzo. Uscendo e rientrando si corre il rischio di perdere i migliori giorni di recupero. A breve, uscendo e rientrando nella fase espansiva, ha certamente un impatto enorme sui rendimenti.
Proprio in fasi di volatilità possono essere fatti alcuni dei migliori investimenti perché i prezzi delle attività sono più bassi e potranno beneficiare di un rimbalzo del mercato.
Un settore che è più a rischio e dove ci si aspetta una crescita di volatilità continua è il mercato dei titoli del debito pubblico. Le politiche monetarie, le varie dichiarazioni e previsioni di personalità di spessore posso tranquillamente condizionare di molto i mercati.
Facciamo l’esempio con l’Italia e l’Europa: la politica dei tassi a zero, stanno cambiando i mercati. I rendimenti dei titoli, che sono stati trattenuti a livelli artificiali, si muoveranno con dinamiche più libere.
Dobbiamo essere onesti e dire che i migliori affari si fanno anche e soprattutto nei periodi di incertezza, facendo un distinguo dei mercati: azionariato, valutario, materie prime e indici.
Gli investimenti a lungo termine sul mercato azionario richiedono molto impegno e attenzione perché i mercati sono guidati soprattutto dai fondamentali societari. Se investiamo in una società con un bilancio solido e utili consistenti, le oscillazioni più o meno di breve termine non ne influenzeranno in modo significativo il valore di lungo termine.
In questo caso i periodi di volatilità, che generano un effetto contrario a quello programmato, sono un momento favorevole per comprare azioni di società che possono continuare a far bene nel lungo termine.
Operare sui mercati volatili è molto rischioso. Una negoziazione può concludersi a prezzi significativamente diversi dal prezzo di mercato di quel particolare momento in cui l’ordine è stato inserito, a causa degli alti volumi immessi sul mercato. Condizione che potrebbe causare ritardi nelle operazioni di trading.
Non è da trascurare, nel caso dell’azionario, ma anche del valutario con le Banche centrali di riferimento, che durante i periodi di volatilità, le aziende interessate attivano procedure per proteggersi, che hanno lo scopo di diminuire l’esposizione della società al rischio del mercato straordinario.
Si può sfruttare la fase di volatilità?
Certamente, per sfruttare il momento di volatilità devi comunque avere delle basi non indifferenti e una certa dose di esperienza, moltissima direi.
La volatilità è spesso usata per misurare il rischio. Volatilità e rischio sono due cose nettamente diverse. La volatilità è un indicatore impreciso per la misurazione del rischio di un portafoglio. La si può misurare, calcolare, per cercare di prevenire il rischio, o meglio adottare una strategia in base alla volatilità storica di quel particolare strumento.
Oltre alla volatilità storica, abbiamo anche quella implicita, espressa nel prezzo delle opzioni e misurata attraverso l’indice Vix. Questo secondo indicatore è utilizzato per valutare il sentiment degli operatori del mercato.
Spieghiamo meglio. Partiamo da lontano. Il principale indice azionario mondiale e americano è l’ SP500. Comprende e riassume l’andamento delle 500 principali azioni americane quotate al NYSE, all’Amex e al Nasdaq.
Come bene sappiamo, le loro azioni hanno anche delle opzioni quotate al CBOE (Chicago Board Options Exchange). Anche l’indice stesso ha delle opzioni quotate sempre al CBOE. La media della volatilità implicita delle opzioni dell’ SP500, a breve termine, trenta giorni circa, viene raggruppata sotto un altro indice, che prende il nome di CBOE Volatility Index, meglio conosciuto come VIX Index.
Negli Stati Uniti, dove è più utilizzato, il Vix è anche detto fear index , ovvero l’indice della paura. Misura l’aspettativa futura della volatilità dell’indice S&P 500 e di conseguenza delle azioni che lo compongono.
La volatilità storica è concettualmente differente da quella implicita. La prima rappresenta la variazione dei rendimenti passati, mentre la seconda l’aspettativa di variazione dei prezzi stessi.
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